Valentina Ciuffi – Cultframe – luglio 2006

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Daguerre - Boulevard du Temple
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Panorama_Bologna
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Panorama_Roma
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Panorama_Venezia
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Panorama_Venezia live

Tre volte Panorama

Panorama_Roma, Panorama_Bologna, Panorama_Venezia: due film e una performance audio-visiva. In tutti e tre i casi una panoramica continua dentro il giro completo e lentissimo di una telecamera su se stessa. Poi l’accelerazione delle immagini e il rivelarsi di due tempi, due mondi forse: da una parte lo scivolare veloce, di persone come sagome sfuggenti, ma anche di nuvole e di luce; dall’altra l’insieme dei ‘personaggi’ che resistono sulla scena, si muovono con un tempo che è loro o contro un altro, che li travolgerebbe.
Un’intervista per indagare assieme all’autore, il collettivo ZimmerFrei, tre progetti in cui lo stesso ‘dispositivo’, diversamente declinato, rilegge lo spazio di tre città e le figure che lo abitano.

Inizierei con un’impressione, forse personale: nei Panorama mi colpisce molto la fatica, lo sforzo di gesto delle figure che resistono nelle immagini velocizzate. L’incontro con questi vostri lavori mi ha rimandato alla storia della prima figura umana comparsa in una fotografia, quella scattata da Daguerre su Boulevard du Temple nell’ora di punta: di tutto il brulichio dei passanti, del traffico che doveva agitarsi nella via, sul dagherrotipo rimase solo la sagoma di un uomo con la gamba alzata mentre si faceva lucidare le scarpe. Quella sua immobilità in un gesto quotidiano gli guadagnò la possibilità di apparire, unico fra migliaia di persone, su una lastra d’argento che richiedeva tempi lunghissimi per essere impressionata. Lui non lotta dunque, che neppure sapeva, ma i personaggi di Panorama stanno lottando per rimanere sulla scena del film? E, se c’è un’idea di lotta, cos’altro si cerca di combattere oltre a questa specie di pericolo di ‘scomparire’, essere risucchiati?
Anche noi pensavamo all’antichità delle immagini fotografiche: gli inventari di città e le prime panoramiche in movimento (i fratelli Lumière, Edison, Albert Khan, Ruttmann). E poi la questione tempo. Il tempo è la materia di cui siamo fatti e volevamo costruire un meccanismo per poterlo vedere, per metterlo in prospettiva rispetto allo spazio e all’esistenza o la sparizione della figura umana. E così abbiamo costruito un campo controllato e deformato alcune variabili.
La videocamera ruota sul motore di un orologio e le persone stanno ferme. La fatica dello stare è concreta, nonostante l’apparente semplicità da carosello del piano sequenza. E’ una lotta di resistenza, per esistere più intensamente.

Ma sulla scena ci sono anche degli inconsapevoli, come l’uomo del Boulevard, qualcuno a cui è capitato, magari per caso, di andare al ‘vostro’ tempo: fermandosi a chiacchierare, sedendosi a lungo in un caffé. Queste figure mi sembrano punti riuscitissimi del vostro film, momenti in cui svelate, più che mettere in scena l’esistenza di molti presenti contemporanei: qualcosa che non viene ricreato ma, appunto, solo reso visibile dalla messa in azione di un dispositivo sorprendente. Che ne pensate?
Panorama_Bologna, in cui il set era annunciato come performance attraversabile, è dedicato proprio alle persone che più tipicamente abitano Piazza Maggiore: all’alba i netturbini, la mattina gli anziani, di giorno i gruppi e le famiglie di immigrati, di notte gli sfaccendati, i cani, gli ubriachi e di nuovo i netturbini. A tutti loro capita di sostare a lungo nella piazza, ma non stanno “perdendo tempo”, ne stanno guadagnando: nella durata dell’istante presente il tempo rimane invisibile, ma dalla prospettiva schiacciata del futuro l’immobilità è la più grande assicurazione di permanenza. La lentezza è la chiave della continuità. E’ vero, diversi binari temporali sono già presenti nello stesso luogo, solo chi passa veloce non vede nulla, e infatti scompare con l’accelerazione temporale. Come in Daguerre, insistendo su una porzione di spazio, ci si staglia nel tempo.
Certamente la parte performata, quella delle figure che sono più evidentemente dentro il gioco, ha un ruolo centrale nei vostri film: spesso suggestiva e capace di raccontare cosa accade più esplicitamente di quanto lo farebbe, da solo, il gruppo degli inconsapevoli di cui parlavo prima. Nulla però – e questa è la domanda – sembra essere raccontato: potete confermarmi l’impressione che la narrazione non sia cercata? Non riuscendo a trovare, forse non cercando, un filo narrativo, ho incontrato simboli, gesti, oggetti che ricorrono in tutti i Panorama: dita messe in bocca, corpi capovolti, personaggi che hanno un doppio, maschere, fuochi d’artificio. C’è qualcosa da dire su tutti, o alcuni, di questi elementi che attraversano i Panorama?
Nel progetto panorama sono stati invitati a partecipare più di trenta artisti, attori e performer (tra questi, ad esempio, Angela Baraldi, Silvia Calderoni, Davide Savorani, Francesco Cabras, Valeria Di Modica, Eva Geatti, Luca Ghedini, Elisa Laraia, Vincenzo Bonaffini…). Sono persone con cui abbiamo un dialogo artistico e di fiducia. Molte situazioni e gesti appartengono direttamente a loro. Si sono create delle figure, più che personaggi, e noi ne siamo più testimoni che registi.
In ognuna delle città c’erano dei “soggetti”: ad esempio l’incontro sfiorato tra sosia (i “gemellaggi”), la narcolessia, i segnali in codice della pallavolo a Roma; il caldo, la sete, l’erosione e la pulizia ciclica della città, l’accamparsi delle vite private negli spazi pubblici a Bologna; gli scambi, le compravendite, i passaggi di mano in mano di soldi, documenti, assegni, passaporti e amuleti a Venezia.
Sì, e poi ci sono degli elementi che ricorrono e su cui nessuno di noi mette parola. Il passamontagna con i baffi, i fumogeni, le candele romane, una Walther semiautomatica, la mano sugli occhi, il sangue dal naso, i vestiti doppi, gente che dorme dovunque gli capita.
Molto spesso ZimmerFrei funziona così: dato che dobbiamo continuamente discutere di tutto, quando si tratta di girare ognuno di noi conserva il diritto a qualcosa di non concordato. Si entra in campo con la testa finalmente vuota, e una volta lì bisogna rimanere, resistere finché la camera non ti passa oltre. Allora a volte bisogna nascondersi gli occhi con le mani per riuscire a vedere qualcosa, dare le spalle a tutta la troupe e camminare più lentamente che si può fino all’orizzonte. Oppure si fa corto-circuito: si cade svenuti nel vuoto o si esplode con un fuoco d’artificio.

Trovo particolarmente densi anche gli interventi di coloro che sembrano essere stati coinvolti nelle piazze mentre giravate i Panorama. Sono stata sul set di Panorama_Venezia e un’altra cosa che mi sembra importante mettere il rilievo è il grande lavoro che c’è dietro alla realizzazione questi film: l’allestimento di una ‘performance’ lunghissima, allargata, e forse non facile da gestire. Potete parlarmi un po’ di questo? Come reagivano i passanti di fronte all’effetto speciale di un ralenti performato e come siete riusciti a farli partecipare?
Con Panorama c’è stata un’evoluzione nella nostra percezione del set. Mentre progettavamo Panorama_Roma pensavamo ad un classico dispositivo funzionale al risultato video (l’inquadratura che esclude tutto l’extrafilmico e una scaletta di scene da rispettare), ma dopo qualche ora di ripresa la dimensione molto focalizzata da set cinematografico si è fluidificata accogliendo sempre più imprevisti, modifiche e sorprese. Questa dose vitale di caos si produce se si ha la tranquillità di far “respirare” il set, di lasciar prendere decisioni irreversibili ai performer e agli sconosciuti, come una materia organica che si autorganizza.
Dopo quest’esperienza abbiamo deciso di enfatizzare la dimensione di performance urbana nei set di Bologna e Venezia. I passanti potevano vedere la ripresa in corso attraverso dei monitor esterni e alcune scene già accelerate. Le persone non sono state riprese a loro insaputa, ma rese partecipi di quello che stava avvenendo, con la possibilità di improvvisare e di entrare in un altro ritmo temporale.

Lo sguardo panoramico non è selettivo, non sceglie, si potrebbe dire, è un modo dell’oggettività. Nei vostri film c’è anche un altro sguardo, che avvicina e va a raccogliere, a volte anticipa, a volte di poco segue, ciò che entrerà o è entrato nella panoramica, che sguardo è? Racconta qualcosa di diverso? Racconta qualcuno che guarda? E com’è stato realizzato?
Due videocamere parallele, stacco sull’asse: una continua sgrammaticatura che cerca un effetto di contemporaneità, non la successione degli elementi.
Il montaggio tra le due camere produce un movimento che attraversa lo spazio in profondità, un continuo andirivieni tra totale e macro, che è diventato la punteggiatura che mobilita l’attenzione degli spettatori, facendoli entrare nel gioco di andare a ritrovare nell’insieme quei piccoli “carotaggi” estratti dallo sfondo. Anche in questo caso dietro a quelle immagini non c’è una persona sola. Sono state date delle indicazioni al direttore della fotografia e operatori: filmare ininterrottamente tenendo entrambi gli occhi aperti, uno nel mirino e uno sulla scena che deve ancora entrare in campo, battere il fondo campo alla ricerca di dettagli, inquadrare come chi non sa dare un nome alle cose, fuori centro, fuori scala, senza costrutto. Ed è un’altra visione si aggiunge.
Tre città, sempre una piazza, due volte una fontana, una volta un pozzo… Potete dirmi come è avvenuta la scelta delle location? Ci sono legami, in questo senso, tra i tre lavori? E il rapporto con l’architettura?
Il primo Panorama è stato prodotto da Monitor, la nostra galleria di Roma. Cercavamo un posto in cui ci fosse una vista di 360 gradi, un luogo urbano dove riuscire a vedere la curva dell’orizzonte. Abbiamo scelto piazza del Popolo perché si chiama “del popolo” e invece si trova all’esatto incrocio dei luoghi del potere, perché sembra simmetrica e invece è tutta sghemba, perché il sole l’attraversa tutta e perché i suoi lampioni si accendono e si spengono secondo leggi imperscrutabili alla ragione e soprattutto al Comune di Roma.
Le fontane sono perfette, il ciclo dell’acqua è continuo e indistinguibile e l’acqua accelerata è identica all’acqua a velocità normale, perciò la fontana sembra appartenere al tempo rallentato o fermo delle nostre figure.
A Venezia abbiamo cercato di vedere le vie d’acqua nelle location terrestri (il canal Salso a Mestre, il bacino di Forte Marghera) e i luoghi a mezz’aria in laguna (campo Santo Stefano è una piazza galleggiante, poi i sotoporteghi del mercato del pesce, ponti, fondamenta e un terrazzo su campo San Polo), girando in ognuna di queste location una performance di un’ora, all’interno di Reaction – Festival Internazionale della Performance, un evento della 51a Biennale d’Arte di Venezia.

Se i panorami lasciano convivere dimensioni temporali parallele, quella del sonoro sembra essere una dimensione ulteriore. In Panorama_Venezia, che scegliete di mostrare sotto forma di performance audiovisiva in cui l’audio è eseguito dal vivo e sovrapposto alle immagini, quest’impressione è amplificata. Potete parlarmene?
Nella serie Panorama il suono è stratificato su tre livelli.
Primo: i suoni d’ambiente, registrati sul luogo delle riprese, ma in un altro tempo rispetto a quello in cui le riprese sono state effettuate;
Secondo: la musica. Abbiamo coinvolto alcuni musicisti provenienti da aree musicali diverse, che hanno suonato sulle immagini delle panoramiche proiettate in loop, cercando di associare i suoni alle immagini. Successivamente le registrazioni sono state selezionate, editate e mixate da noi direttamente sui filmati finiti. In pratica le registrazioni sono state utilizzate come serbatoio di campionamenti. I musicisti sono: Vittoria Burattini, Stefano Pilia, Emidio Clementi, Massimo Carozzi, Marco Coppi, Nicola Zonca; Valerio Tricoli.
Infine il foley: foley è un termine cinematografico che indica il doppiaggio dei rumori; una pratica che è stata quasi del tutto abbandonata con l’avvento delle banche di effetti sonori preregistrati. In Panorama è stato utilizzato come effetto di “realismo straniante” e per sottolineare azioni che avvengono in secondo piano, per “portarle fuori” dall’inquadratura.
In Panorama_Venezia questi tre piani sono eseguiti dal vivo direttamente sulle immagini che scorrono sugli schermi; l’intento è quello di creare una sorta di “cinema espanso”, dove l’esecuzione live della parte sonora consente un punto d’accesso ulteriore alle immagini; il gruppo di Panorama_Venezia è formato, oltre che da noi tre, da Valerio Tricoli, Stefano Pilia e Vittoria Burattini.

Valentina Ciuffi