Tre Registrazioni Sul Campo – Massimo Carozzi

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Tre registrazioni sul campo

Massimo Carozzi | ZimmerFrei per Sino alla fine del Mare, Vivaindustrie publishing, 2019

I

Stiamo percorrendo il sentiero del Ciolo in una chiara giornata di dicembre. Camminiamo in silenzio, concentrati sui nostri passi, lo sguardo si muove fra i muretti a secco, le rocce e il mare, che sappiamo essere sotto di noi.
Le Grotte delle Cipolliane sono delle cavità nella roccia, scavate dal calmo lavorio del vento e delle piogge. Riccardo, Caterina e Lia mi hanno accompagnato qui per farmi ascoltare il suono di questo luogo antichissimo, un pezzo di paesaggio preistorico incastrato nella falesia a picco sul mare.

E’ per questo che parliamo poco fra di noi, ci stiamo concentrando sul suono che ci circonda.
La grande cavità di roccia fa da cassa di risonanza e maschera lo sciabordio delle onde, che una trentina di metri sotto di noi, si infrangono sugli scogli.
Restiamo in silenzio, e dopo un po’ piazziamo i microfoni su dei cespugli bassi, indossiamo le cuffie e ci mettiamo in ascolto del suono della grotta.
Lo facciamo ora attraverso la prospettiva data dai microfoni.
Gocce d’acqua piovana si staccano dalla parete e cadono sul terreno soffice, con un ritmo irregolare eppure costante. E’ la stessa acqua, immagino, che lentamente, nel corso dei millenni, ha eroso la roccia e ha dato forma a questo spazio.
Gli elementi di questa scena appaiono chiari e distinti all’ascolto; c’è il ticchettio irregolare delle gocce che buca il bordone costante delle onde, e ci sono gli arbusti bassi che frusciano, mossi dalle occasionali folate di vento che girano fra le pareti di roccia.
Restiamo immobili, lontani gli uni dagli altri, facendo attenzione a non interrompere con i nostri movimenti questo spazio sonoro che si manifesta all’ascolto.

Quando premo il tasto REC sul registratore so già che questo frammento di tempo che stiamo vivendo sarà disponibile per essere riascoltato, in un altro luogo, diverso da quello in cui lo stiamo registrando.
E so che questa tecnologia mi consentirà di trasportare questi suoni lontano dagli eventi che li hanno generati, dando luogo a una frattura fra la fonte sonora originale e la sua riproduzione.

II

Ho iniziato a fare registrazioni sul campo molti anni fa.
Nel 2002 ho calato un microfono fuori dalla finestra di un hotel a Tangeri, per catturare il ronzio di un condizionatore d’aria.
C’erano il traffico di Boulevard Pasteur sullo sfondo e il canto nasale del muezzin, mescolati e quasi indistinguibili, stranamente intonati sulla frequenza emessa dal condizionatore. Elementi sonori casuali si incontrano per qualche istante, si mescolano e danno forma a una composizione spontanea, che avviene in quell’attimo e probabilmente non si ripeterà più.

Una registrazione sul campo è una scommessa con il futuro, è impossibile sapere cosa accadrà fra il momento in cui premi REC e quello in cui premi STOP sul registratore. E c’è anche una componente autobiografica in questa pratica.

Quando riascolto i materiali rivivo quel momento e riascolto ciò che stava accadendo davanti al filtro del microfono.
Non so se chi ascolta queste registrazioni potrà ritrovare queste tracce di memoria, che sono mie e personali, ma avrà la possibilità di creare una relazione con ciò che io ho ascoltato e registrato in un determinato luogo e in un determinato momento.

III

Sull’isola di Terschelling, in Olanda, chiedo ad un vecchio allevatore di bovini di dirmi se c’è un suono sull’isola che lo spaventa o che lo inquieta.
Mi fa salire sul suo pick-up e mi porta sul Boschplaat, una riserva naturale sul lato orientale dell’isola.

Il sole sta scendendo e centinaia di uccelli, anatre, gabbiani, sterne e oche selvatiche volano bassi sopra il prato rado di lavanda di mare.
Il suono è effettivamente impressionante, nitido e asciutto, e se chiudo gli occhi posso immaginare degli oscillatori intonati su frequenze altissime.

Nel 1963 Alfred Hitchcock commissionò al compositore Oskar Sala la realizzazione degli effetti sonori per il film “Gli Uccelli”.
Hitchcok cercava un suono capace di terrorizzare gli spettatori.
Oskar Sala realizzò questo suono, il suono del terrore, utilizzando un Trautonium, uno strumento elettronico, antenato degli odierni sintetizzatori.

Chiedo al vecchio allevatore se avesse visto “Gli Uccelli” di Hitchcock. Dice di no, “mai visto”.

C’è una dimensione fisica che privilegia il suono rispetto all’immagine.
Lo spostamento d’aria che genera un suono, catturato fisicamente da un microfono e fissato su un supporto, può essere replicato. Quello spostamento d’aria – un’altra aria, in un altro spazio – sarà restituito dalla vibrazione della membrana di un altoparlante.
Se l’immagine di norma viene proiettata su una superficie bidimensionale – uno schermo bianco e pulito – progettata per ospitare un simulacro del fenomeno ottico in precedenza registrato su supporto, nel caso del suono, e della sua riproduzione, accade qualcosa di diverso: un effetto fisico investe, attraverso l’aria della stanza in cui ci troviamo, il nostro apparato uditivo.
Ma cosa trasporta quell’aria del fenomeno acustico inciso su un supporto?
Il tentativo di rispondere a questa domanda continua ad essere al centro della mia ricerca.