Piersandra Di Matteo – Altre Velocità – giugno 2005

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Andrej Tarkovskij
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Spazio Largo

Zimmerfrei, visioni del Tempo

Lo scorso anno avete inaugurato un ciclo triennale di esplorazione dedicata alla percezione del tempo e alla contemplazione dei suoi tracciati secondari. Vorrei partire con una suggestione che viene da Andrej Tarkovkij. “Io ritengo che il mio compito consista nel creare il mio personale fluire del tempo, nel rendere nell’inquadratura la mia percezione del movimento – da quello pigro e sonnolento, a quello tumultuoso e impetuoso. A ognuno la cosa appare a modo suo, ognuno la vede a modo suo, ognuno ha le proprie fantasie…Il procedimento di articolazione, il montaggio, turba il fluire del tempo, lo interrompe, e contemporaneamente genera una nuova qualità di esso. La deformazione del tempo è un procedimento per dare ad esso espressione ritmica”.

A simple twist of fate è la nuova performance che presentate per Alveare Officina Giovani. Questo lavoro per corpi, suoni e slide è un momento del progetto dedicato al tempo?
Sì, è parte della costellazione “Visioni del tempo”, che comprende performance, video e installazioni
Con questo progetto iniziato nel 2003 e ancora senza un arrivo, ci concentriamo sulla percezione dello scorrimento del tempo.
Il desiderio è radicarsi nel tempo, imprimere il proprio segmento di tempo, circolare lungo i suoi piani inclinati (in cui si trovano zone paradossali…).
Philip Dick sosteneva che l’universo è organizzato per binari paralleli nel tempo, e progettava la possibilità di accedere da una dimensione temporale all’altra semplicemente “saltando da un binario all’altro”. Un giorno lui stesso trovò un punto d’acceso per questo salto di fronte al lavandino del suo bagno.
Per questo nel suo discordo di Metz del 1977 dichiarò “Spesso la gente dichiara di ricordare una vita passata; io dichiaro di ricordare una diversa, diversissima, vita presente”.

Attesa o sonno? Sonno o collasso? A simple twist of fate si interroga su una condizione di spaesamento esistenziale?
A simple twist of fate è una performance molto semplice, ci troviamo in un luogo, lo abitiamo temporaneamente, portiamo noi stessi, le nostre molteplici forme di vita e alcune nostre immagini, che a volte ci precedono, a volte permangono, dilatando alcuni attimi dello scorrere informe del tempo, altre volte arrivano a visualizzare le nostre visioni.
Non so se si tratta di spaesamento esistenziale, forse solo perché non sono le parole che amiamo. Siamo sicuramente pieni di bisogni esistenziali, e li condividiamo tutti ai nostri simili, anche quando siamo spettatori, ma non siamo mai persi nel vuoto.
Con i lavori sul tempo facciamo degli esercizi di moltiplicazione, per concepire altre forme di vita.
Sonno e collasso hanno per noi un’accezione assolutamente positiva.
Il sonno non è una sottrazione o un’assenza, è uno stato attivo, un’azione. Il corpo è presente interamente, indifeso e generoso, e tutta la persona che lo abita è contenuta lì dentro, in potenza. Ma per ora è sveglia altrove, sta vivendo altre vite altrove, potremmo accostarci e ascoltare, forse qualcosa si sente.

Costante del vostro lavoro, sin dagli esordi è l’attenzione, più meno dichiarata, al ruolo dello spettatore: la spazializzazione delle voci in SPAZIO LARGO / CINEMA INTERNO # 1 lo spinge verso un processo immedesimativo con il protagonista, in SPAZIO LARGO / CINEMA INTERNO # 2 lo spettatore cieco vive nella tridimensionalità del suono. Prima ancora, la ricostruzione del plot labirintico di Never Keep era lasciato allo sguardo investigante dello spettatore. La video-istallazione Panorama, invece, punta sullo straniamento…
Dove si colloca lo spettatore nel progetto del tempo?

Noi e gli spettatori ci collochiamo nello stesso luogo, e abbiamo anche lo stesso bisogno di visioni, bisogno di tempo da dedicare alla contemplazione, bisogno di spazio libero e sonoro (= spazio materiale, non “immaginario”!) in cui veder sorgere dal nero, o dal buio, quello che abbiamo dietro agli occhi. L’installazione sonora e il doppio film che hai nominato comprendevano lo spettatore nel progetto del dispositivo di espressione fin dall’inizio, proponendo una posizione precisa da cui guardare o ascoltare, un modo di stare (bendati, seduti su sedie girevoli, … altre volte sdraiati, o sospesi…), una postura del corpo, un accento per un senso o un altro, o una combinazione sghemba di molti (pare che il numero dei sensi sia 37!). Questo perché per attivare profondamente la vista, ad esempio, bisogna assolutamente spegnerla, prima, attivare molto altro, e poi riaprirla.Visto che siamo parte degli spettatori, in una performance ci prendiamo il posto migliore, al centro del ciclone.

Per questo create dispositivi di visione e di ascolto?
La forma più vicina alla conoscenza è ancora (per noi) l’invenzione. L’invenzione di mondi paralleli e possibili. Questi mondi sono sontuosi e generativi. La scoperta della natura di un progetto, o del suo funzionamento, avviene a un certo punto del lavoro, non prima di cominciare. E’ la parte avvincente del vivere costantemente con tutti i nostri macchinari appresso e in stand-by dentro borse, sacchetti, macchine, case altrui.. Ieri abbiamo rovesciato un secchio pieno d’acqua, che era lì per diluire la tempera bianca. Il muro non è stato dipinto e l’acqua adesso è sul pavimento di ‘A simple twist of fate’. È COME SCOLPIRE IL TEMPO.”

Piersandra Di Matteo