Gudrun De Chirico – Inside – gennaio 2008


…. Imbuto per perenni straniamenti che si potenzia ancor di più se al nostro scarpinare di performance in performance accediamo alla tappa numero quattro dove troviamo quella sorgente di testacoda percettivi che sono il collettivo ZimerFrei con i loro strappi estetici incastonati per una sera, quella del 23 novembre 2007, negli spazi a prestito del Museo della Musica di Strada Maggiore. Ed eccoci subito travolti attraverso le loro videoproiezioni dalla pioggia acida di una invasione colonica di brandelli di cielo e flash repentini dove si spengono le luci quando la panoramica sopra le città di Atene, Bruxelles, Nuoro, viene mischiata da suoni acuti. Non solo, perché ai segnali secondi, ecco mostrarsi le loro piazze cineticamente modificate nella bolla-diaframma di una lentezza accelerata, assieme a passanti, bus, piccioni, turisti e voci amplificate, distorte nel sussurrare “ci avevano detto di essere umani” tanto da sembrare che escano dalla bocca di un mostro invisibile. E poi altre voci a pronunciare frasi tipo “qui non funziona niente, abbiamo fallito, abbiamo sbagliato”, accompagnate dai tormentoni di nastri adesivi che misurano lo spazio circostante en plain air, guanti di plastica, gente che cammina a gattoni e cani che fanno qui e là la loro rapida comparsa. Un piccolo anfiteatro psico-sonoro, dove alla consolle tecnologica, di spalle, c’erano i tre ZimmeFrei: Anna Rispoli, Anna de Manincor, Massimo Carozzi, lì a mettere e togliere il piede dalla canna delle immagini amplificate da un doping acustico. Non a caso, a loro fianco, anche le due chitarre elettriche di Manuele Giannini e Stefano Pilia, ad aggiungere dal vivo potenti cinguettii metallici per esaltare l’aria della stanza da un surplus che parte sì da espedienti “di tutti i giorni” salvo poi gonfiarsi, sgranarsi e sfaldarsi in un mistero che va oltre alla dimensione dell’oggi. Spazio-tempo addio ai vostri abitudinari parametri di riferimento, qui il cielo è capovolto, la terra sembra una distesa di carbone e tutto ne esce diviso in territori paralleli, quasi per partenogenesi. Lo declamano anche le foto all’entrata, appaiate alle cuffie per il sonoro e inserite in una lente montata nel tavolo capace di rendere quasi tangibili le tre dimensioni. In altre parole, la fotografia sembra viva e mossa, come se mostrasse da ferma il suo potenziale cinematografico. Vale per le figure di uomini con il trapano in mano o imbavagliati dallo scotch sulla bocca così come vale per la tromba delle scale a chiocciola su cui sale la sagoma di una donna in abito rosso. Ad attenderla giù in basso c’è un uomo incappucciato nel passamontagna, ma la loro distanza è misurata sovra-realisticamente dai frastuoni di porte che sbattono e scricchiolano, e soprattutto, dal rumore di passi con le scarpe….

Gudrun De Chirico