Enrico Pitozzi – ARTò – dicembre 2005

Schermata 04-2457136 alle 15.14.48
Quando: Levitation
Schermata 04-2457136 alle 15.14.37
Quando: Presente Multiplo
Schermata 04-2457136 alle 15.14.26
Quando: Presente Multiplo
Schermata 04-2457136 alle 15.14.07
Philip K. Dick
Schermata 04-2457136 alle 15.13.54
Quando @ Raum

Il Tempo (s)doppiato
Una conversazione con ZimmerFrei sul progetto Quando

Comincerei parlando del concetto di tempo che sta alla base dei vostri ultimi lavori, in particolare di Quando, Codice tempo e del recente Simple twist of fate presentato per Alveare Officina Giovani in occasione di “Contemporanea 05” a Prato. La riflessione si indirizza verso una definizione, in senso performativo, del tempo presente. Cosa intendete con questo, potreste parlarmene brevemente?
(Anna de Manincor) Conosco il tempo solo come tempo vissuto, incarnato o invocato, altrimenti è pura forma geometrica. Il tempo presente è paradossale, è continuamente spostato dal futuro al passato e sembra non avere durata. E’ solo un punto, eppure è proprio lì che viviamo tutta la nostra vita. Ma allora dove ci troviamo? Quanto dura il presente? Pensato così il presente è quasi immateriale, si presenta leggerissimo e maneggevole. Allora prendiamolo e spostiamolo, riempiamo un luogo di tutti i presenti che ci vengono in mente. La performance Quando è molto semplice: tre persone abitano una stanza, tre persone uguali alle prime abitano la stanza attigua. Gli spostamenti di ognuno di loro sono seguiti o immediatamente preceduti dalla proiezione in scala uno a uno della loro immagine. Negli incroci tra le due stanze o durante la proiezione delle diapositive i doppi hanno la possibilità di incontrarsi e di riconoscersi. Non è detto che accada.

Simple twist of fate è un lavoro che sembra proiettare in avanti alcune suggestioni o sviluppare alcuni aspetti già presenti in Quando. Potreste delinearne le continuità o gli scarti?
(Anna Rispoli) L’ultimo lavoro ruota attorno ad un‘immagine: la pesante porta metallica che dà all’esterno della cella frigo si apre, una donna entra portandosi dietro la luce, qualche passo e poi si arresta. Tiene un sacco in ogni mano, bucato, da cui scivola fuori riso con moto costante. Il tempo passa, il riso si accumula ai suoi piedi in bianche forme piramidali. Lei rimane immobile e aspetta. Tra i due lavori che hai nominato c’è stata la realizzazione di Panorama, un video girato a Roma come un unico piano sequenza circolare in cui il tempo viene accelerato di 20 volte. Per ottenere un movimento naturale abbiamo chiesto ai performer di rallentarsi e di “lasciare che il tempo gli scivolasse addosso”. È stata un’emozione forte quella di sentire così chiaramente l’accumulo del tempo che, stratificandosi su un corpo fermo crea densità proprio come il moto ondoso potrebbe accatastare sabbia sul lato di un baule caduto sul fondo. Se il tempo è la scienza del caos, se non posso definire il presente e fatico ad inventare una misura, Quando moltiplica le mie vite possibili. Simple twist of fate inventa invece una strategia per farmi deposito.

Il concetto di tempo che deriva da entrambe i lavori è multidimensionale. Cosa intendete, come avete fatto altrove, quando parlate di piani laterali, tangenti e sovrapposti del tempo?
(A. R.) Riprendiamo un’ipotesi dickiana, la cosiddetta ucronia. Nel 1977 Philip Dick fu invitato ad un incontro di scrittori di fantascienza in Francia. A Metz arrivò con una rivelazione. Qualche giorno prima volendo accendere la luce nel suo bagno, aveva alzato con abitudinaria naturalezza il braccio alla ricerca della cordicella dell’interruttore a filo, ma invano: non esisteva nessuna cordicella! In quel bagno l’interruttore era da sempre stato a muro. L’avvenimento lo sconvolse: la sicurezza con cui aveva cercato la cordicella era il sintomo di qualcosa di molto più grosso. Era evidente che esistevano in realtà più universi sovrapposti e che lui abitava contemporaneamente in diversi di questi. In uno di questi universi aveva un bagno con un interruttore a filo.

Passerei ad analizzare il pensiero e la praxis del corpo in situazione performativa; in Quando e in Smiple twist of fate lavorate con un’immagine del corpo di pura superficie, la sua moltiplicazione è nel doppio in carne ed ossa ma anche nel doppio fotografico. In entrambe i casi lavorate su un formato che concerne lo sdoppiamento della figura. Potreste approfondire questo concetto e le modalità con le quali avete operato a partire da questo presupposto?
(A. R.) La stessa idea di corpo è labile. Posso arrivare a pensare al mio corpo come ad un coagulo instabile di particelle in movimento. La materia è tendenzialmente solidale, ma i patti che stringe al suo interno non sono assoluti, come tutti i patti possono essere traditi. Su questa possibilità di sciogliere i legami che tengono unita la materia si è concentrata la ricerca sui viaggi nel tempo, così come l’immaginazione della fantascienza: lì si nasconde un’enorme libertà. Ogni azione viene alleggerita dal suo carico drammatico. Oppure posso pensare al corpo come veicolo di un destino, con una sua storia, una sua scelta e una sua possibilità. Ecco, anche in questo caso mi piace pensare ad un finale multiplo, magari compresente.
(A. d. M.) Abbiamo lavorato non tanto sul concetto ma sulla voglia di un doppio. Il desiderio non è di raddoppiarsi ma essere anche un altro, essere altri, tanti, avere altre possibilità di vita, tante, e tutte ora, contemporaneamente. Ogni volta che fai una scelta, che prendi una decisione, immaginala non biunivoca ma simultanea, vai di qua E di là, vai e resti, prendi e lasci. Ogni bivio moltiplica. Immagina di abitare a Bologna, Bruxelles e in mezzo alla campagna, ogni volta parti, ogni volta ricominci la tua vita in un’altra città; ma non riparti da dove l’hai lasciata, la tua vita intanto è proseguita, chissà cos’è successo nel frattempo a te stesso, sei già un altro, che pensa cose diverse mentre disfa le stesse valige: fai un altro lavoro, hai altri talenti, altri figli, altri amanti, fratelli, amici e ex mariti. Ma continui a sentirti stranamente solo il giorno del tuo compleanno, dove sono tutti gli altri, dove siamo? Un giorno mi è successa una cosa incredibile: ho INCONTRATO LA MIA SOSIA PER STRADA. Non una parola, io l’ho vista, lei mi ha riconosciuta. Allora è così che mi vedono da fuori? Quella sarei io. Poi ci hanno presentate, anche lei si chiama Anna (la terza!), e inevitabilmente è entrata in Quando. E così abbiamo cercato anche gli altri. A Bruxelles la ricerca dei sosia belgi è stata la prima settimana del lavoro: abbiamo battuto le strade e i locali cercando le somiglianze, le parentele, le famiglie. E’ tutta un’altra idea di casting, non è per una “parte” ma per il tutto: chiunque lei sia, qui sono così. Abbiamo trovato un’anna de manincor fiamminga e moderna contadina un’anna rispoli francese dalle ossa di uccello, un massimo carozzi marocchino-belga dalla camminata R’nB. Parli giustamente di sdoppiamento della figura: niente di tutto questo ha a che fare con il Sé. Le diapositive a grandezza naturale ci permettono di vederci, di esserci accanto con adesione (di sagoma) ma con un certo distacco (di consistenza). A volte entriamo nella nostra stessa sagoma, a volte ci sediamo accanto, seguiamo le nostre tracce o anticipiamo i gesti. Sono piccole premonizioni. Prendiamoci almeno un rischio: facciamo un’invocazione, un pronunciamento sulle nostre possibilità di vita, chiamiamo il futuro con qualche nome. Chi saresti altrimenti? Chi sarai tra 30 anni? Come vorresti vivere se non così? Dillo. O fallo. Cosa fai nelle tue vite parallele?

A me sembra che nel gesto dello sdoppiamento, che sia solamente in immagine come nei due lavori citati o che sia realizzato anche sul piano fisico come nel caso di Quando, risuoni la principale caratteristica del tempo che mettete in atto; la sua inesattezza è inscritta nella non aderenza a sé cui il doppio rimanda. Che rapporto si instaura tra la dimensione temporale su cui lavorate e il concetto di doppio?
(A. d. M.) E’ tutto inesatto sì, in Quando il mio doppio non è me stessa (e infatti non è una duplicazione, è un sosia) e il tempo non è mai esatto perché non è mai fermo, non lo possiedo in nessun presente, anche se vorrei tanto prenderlo in mano, esserne proprietaria. Posso solo cercare i cunicoli che collegano una zona con l’altra, una dimensione con la sua parallela. Il tempo è monodimensionale e unidirezionale solo nella prospettiva della nostra vita di qualche decennio, ma quando riusciamo ad avere una visone dalle estremità “micro” o “macro” cambia tutto: si trova la reversibilitàindifferenziata del tempo, buchi neri a-temporali, cambi di dimensione, inversioni temporali… Sia la scienza che la fantascienza a volte servono per vivere di più!
(A. R.) L’universo di Quando è abitato da due serie gemellari (di tre individui ciascuna) che si manifestano in trasparenza reciproca: occupano cioè binari paralleli dello stesso tempo. È la verifica sperimentale di una ipotesi (fanta)scientifica. In Simple twist of fate questo sdoppiamento non è reale, riproduce piuttosto un processo che avviene dentro lo sguardo dello spettatore. Chi guarda solitamente ricorda l’immagine di un corpo in una porzione di moto e la sovrappone con la porzione temporalmente successiva per confrontarla e giudicarla. Tra queste due impressioni retiniche c’è uno scarto che noi oggettiviamo accostando due immagini dello stesso corpo in porzioni temporali distanti fra di loro.

In Quando avete lavorato anche sulla produzione di due spazi separati e fruibili secondo formati e modalità differenti, da un lato l’installazione visiva o scatola della visione prospettica, dall’altro la performance vera e propria; potreste parlarmi delle componenti concettuali o pragmatiche che connettono i due ambiti o ambienti?
(A. R.) Quando è un opera che nasce ogni volta diversa: è in questo un vero site specific. Conta su un insieme di elementi che si dispongono a seconda dello specifico esplorativo-architetturale del luogo ospite. A Bologna lo spazio di Xing, RAUM, dove è stato prodotto, è composto da due stanze contigue, comunicanti nelle due estremità, a Genova abbiamo incontrato lo spazio labirintico di Villa Croce: una disposizione progressiva di stanze comunicanti, un percorso a tappe successive. Abbiamo allora deciso di formulare la visione a scaglioni, dedicando ogni stanza ad una fase del pensiero sul tempo. Nella prima stanza il tempo andava “fermato”, incorniciato in qualche modo e segnalato come oggetto di riflessione. L’abbiamo catturato in scatole bianche e chiuse, una sorta di galleria in miniatura da guardare da fuori, sbirciando dal buco della serratura.

In rapporto a queste problematiche, quale dispositivo della visione è messo in campo nell’elaborazione della “visione dell’istante di tempo in profondità” come l’avete definita? È una stanza visiva che produce effetti stereoscopici? Potreste brevemente delinearne il processo tecnico di realizzazione?
(A. R.) All’interno delle scatole, illuminate da dentro con un piccolo circuito elettrico, è stato inserito un visore stereoscopico di diapositive attraverso cui contemplare l’immagine tridimensionale di uno scatto fotografico. I soggetti “immortalati” dallo scatto continuavano a vivere all’interno della scatola con la loro luce, profondità e volume, con un alto livello di realtà quindi, ma perennemente immobili. Considerando quelle immagini non più come oggetto, ma concedendo loro lo status di esistenti, vediamo come riescano ad abitare alcuni precisi istanti di tempo con insistenza, e si avvicinino allo stato di permanenti.
(A. d. M.) Il procedimento è antico, tanto quanto la fotografia. Si fotografa lo stessa cosa con due macchine fotografiche, una per l’occhio destro e una per l’occhio sinistro. Nei visori le immagini sono separate allo stesso modo e le differenze tra un’immagine e l’altra fanno costruire al cervello l’effetto della tridimensionalità. L’illusione ottica in cui viviamo normalmente tutta la vita riprende così il suo aspetto illusionistico e magico, la visione torna a essere strabiliante.

Mi interesserebbe, in conclusione, accennare al lavoro sulla componente sonora nella realizzazione delle performance, in particolare rispetto al tempo e in relazione allo sdoppiamento.
(Massimo Carozzi) La parte sonora di Quando non ha nessuna funzione drammaturgica: non deve sostenere o assecondare quello che accade sulla scena. E’ in qualche modo autonoma ed è caratterizzata da una forte circolarità ritmica. Un battito lento e costante costituisce lo sfondo ritmico sul quale pochi frammenti sonori (principalmente samples di pianoforte, voci e sintetizzatori analogici) si allineano e si sfasano secondo un movimento pendolare. Su questo strato si vanno poi ad innestare dei loop ottenuti applicando delle strisce di carta adesiva sui solchi di vecchi dischi in vinile. Tutti questi elementi vengono processati e filtrati dal vivo per mezzo di dispositivi elettronici. L’idea di base era di lavorare con pochi, sparsi, elementi sonori, capaci di sdoppiarsi in repliche sempre leggermente diverse e sfasate rispetto all’originale. Qualcosa che cambia restando immutabile. Lo spazio scenico è microfonato per conferire realismo alle azioni degli attori ed è questo l’unico aggancio con ciò che accade sulla scena.

Enrico Pitozzi

Enrico Pitozzi – ARTò – december 2005

(Double) Time
A conversation with ZimmerFrei about the “Quando” project

EP: In Quando you investigate the concept of time. How do you do so?
AdM: I experienced Time as something we can live or invoke, not as a geometrical concept. Present time is a paradox, it constantly slides from future to past and it seems that it has no duration. It is just a point but it contains all our lives. Then where are we? How long lasts the present?
Quando is a simple performance: 3 people live in a room, 3 identical people live in the next room. Their movements are anticipated or followed by projections -with proportion 1:1- of their own image. Doubles might meet and recognize each other, but this does not always happen.
EP: You develop a concept of multidimensional time. What do you mean with lateral tracks and multiple time layers?
AR: We follow Philip Dick’s ucronia theory. In 1977 PKD was invited to France for a science-fiction debate and he came with a sort of revelation. He told how some days before in his house he wanted to switch on the toilet light so he tried to pull the little cord of the interrupter, but he couldn’t find it. No little cords had ever existed in his toilet: the switch had always been a simple button on the wall!
This fact overturned him: he came to the conclusion that different universes simultaneously existed and that he could live in more that one at the same time. In one of these universes his toilet had a cord switch.
AdM: We focused on the desire of a double. Which does not mean that we desire to double ourselves, but be “the” other, many others, to have many other lives, all together, now. As if every decision could be double: you go AND stay, there AND here, take AND leave.
Imagine: you live in Bologna and also in Brussels, and every time you leave and you think you go for a new life, in another city. But you cannot start it from zero because your life has continued without you. What happened to your life while you were not there? Who are you in your parallel lives? You are undoing your own baggage being someone else: you do another job, you have different talents, other children, lovers, brothers, friends and ex-husbands. But you keep on feeling alone during your birthday. Where are all the others, where are WE?
Once I met my double in the street: we did not speak, she recognized me. A few days later she was in the performance. And that’s why we have been searching for the others. In Brussels we walked all the streets and entered all the cafés and looked for similarities and families. It’s a totally different idea for a casting: you search for alternative destinies, not for talents. We found a Flemish farmer Anna de Manincor, a French birdbones girl – Anna Rispoli and a R’nB walking maroccoan Massimo Carozzi.
EP: Quando develops the idea of a body as a surface: you multiply it with living doubles but also with photographic doubles. Can you explain me the way you worked on this level?
AR: I think that the body is a fragile concept. I can imagine it as a temporary coagulate of moving particles. Usually matter is joint/firm, but its compacts (as every pact) can be betrayed. The hypothesis of time-travelling concerns this idea: matter can untie its bonds. That’s our ultimate freedom.
At the same time I can conceive the body as a destiny with its own stories, choices and possibilities. In this case I like to imagine multiple ends, maybe all at the same time.
EP: So the double it does not coincide with its own shape. Is it inexact then? How do you link this element to your vision of time?
AdM: Of course everything is inexact. Also time is, because it can never stay still.
This means that I cannot hold the present in my hands, I cannot own it, but I can look for the tunnels which connect a temporal dimension with its parallel one.
Time is one-dimension and one-direction oriented only in the perspective of human life. If we watch it through “micro” or “macro” lenses we discover its reversibility (and black holes, a-temporal zones, …). Science-fiction can help us to live longer!
EP: Quando is a performance but also a visual installation. Can you explain of the conceptual and practical links between these two aspects?
AR: Quando is a site specific. Each time we work on different architectures and with different performers. Until now we settled it down in a white cube in Bologna, in a labirinthic museum in Genova, in the huge ex-kitchen of the train station in Rome, in a double floor theatre in Brussels and in the former slaughter-house of Prato. in every city we look for our doubles and for our parallel life. This makes the project much more complex then a simple performance: we create a short cut in the organization of parallel universes.
While doing it we take dozens of pictures of the doubles to project them on their/our skin. Often along this images we also create a separate installation which freezes some impressions in tridimensional stills. This is realized using two identical cameras, slide films and double visors. The perception of depth is due to the overposition of the right and the left eye vision.
EP: How do you work on the sound level to realize your performances, referring to time and doubling?
Massimo Carozzi: sound does not follow any dramaturgical purpose. Somehow it is autonomous and strongly cyclic. A slow and constant beat builds the rhythmic layer where sonic fragments (mainly piano samples, voices and analogic sinths) get on a row and break the row as the pendulum movement. On this pattern I insert some loops taken from sticking pieces of paper on old LP. All these elements are processed live by electronic technologies.
The idea is to work with few sonic elements and to multiply them in replies which are always a bit different from the original. Something changes remaining the same. The stage is amplified to give realism to the actors’ actions: that’s the only link to what is happening on stage.

Enrico Pitozzi