Carmen Lorenzetti – Extrart – febbraio 2006

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Joseph Conrad
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David Lynch
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Werner Herzog
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La Monte Young
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Morton Feldman

Sei domande a ZimmerFrei

Sono passati sei anni dalla prima opera che vi ha reso noti e con la quale avete vinto il concorso Iceberg di Bologna e siete stati invitati a Sarajevo, N.K. – Never Keep Souvenirs of a Murder (sia spettacolo teatrale che video installazione, 2000), qual è la misura della distanza o della continuità rispetto a quella prima esperienza come gruppo?
Il primo lavoro che abbiamo fatto insieme ha tracciato un bel segno profondo. Sebbene, è chiaro, ci siano degli spostamenti sull’asse della forma dei progetti (e sulla direzione della ricerca estetica), alcuni dei temi di N.K. ancora ci interessano. Il doppio, le epifanie che rivelano uno strato sepolto di realtà, il mondo esterno che apre una breccia nel privato, o il contrario. Tutto questo ritorna.

N.K. conteneva certe domande: quanto dura il presente? Il passato determina interamente il futuro? Qual è lo spazio del presente? Qual è la nostra libertà d’azione? Il destino è iscritto nel tempo e nelle cose o è il tempo che mette in semplicemente in fila gli oggetti e le nostre traiettorie? Per noi queste domande valgono ancora.
Forse negli ultimi anni siamo riusciti a trattare questi temi con più leggerezza, asciugandoli da una possibile drammatica esistenziale. La realtà si rivela così, più semplicemente, anche per noi.

Vi è un concetto che mi sembra contrassegnare in vario modo la vostra opera: quello del doppio. N.K., in modo altamente coinvolgente, prevedeva due schermi e due stanze gemelle, dove la trama noir si dipanava rimbalzando tra l’uno/a e l’altro/a; Quando, una performance (all’interno del festival Your private sky, curato da XING, tenuto a Raum di Bologna, 2004 e in altre sedi), dove su un divano si incontravano, scambiavano, personaggi gemelli; Panorama_Roma, 2004, Panorama_Bologna, 2005, dove luoghi/incrocio per eccellenza, come la piazza del Popolo a Roma ad esempio, venivano ripresi a 360° per 24 ore e riportati in un video di 24 minuti. Nel movimento frettoloso ed incessante che caratterizza il “panorama” dello spazio cittadino, delle figure doppie compivano gesti lenti, anormali e sembravano scambiarsi l’identità slittando l’uno nell’altro. Potete spendere alcune parole su questa costante?
Raddoppiare sta anche per specchiare. O per far coesistere nello stesso spazio due manifestazioni temporali successive dello stesso soggetto. Insomma, non sono tutti gemelli quelli che si assomigliano, ogni tanto ci piace chiamarli plurali. Alcuni hanno una pura funzione macchinica: servono a scomporre l’azione in fasi successive: prendo una valigia e me la passo. Allora sarò curioso di sapere cosa c’è dentro. I plurali ci aiutano a capire come funzionano i vettori del tempo e dello spazio. È come se nel camminare in una piazza tu potessi lasciare dietro di te alcuni frames della tua immagine in movimento. Quello che ci affascina di più sono le scorie molto concentrate di persistenza retinica. I nostri ultimi lavori video sono molto affollati, come l’astronave di Solaris, ma in realtà noi avremmo bisogno di spazio e di vuoto. Già il nostro nome lo invoca. Avremmo bisogno di molte altre vite, e di incidere a fondo nella loro durata.
Certo le identità, le possibilità e le scelte s’innestano e mutano al limite di lievissimi scarti temporali. Ed il tempo è un’altra costante della vostra opera. Qual è la specificità dell’utilizzo di questo concetto nella vostra opera, sul quale avete peraltro lavorato per tutto il 2004 e da cui è nato il bel libretto: ZimmerFrei, Visioni del Tempo, utilissimo per chi voglia scorrere lungo la vostra produzione di un anno?
Abbiamo riunito i molti progetti, idee e occasioni degli ultimi due anni in un’unica ricerca sulla percezione del tempo e le sue distorsioni. È chiaro per tutti come il tempo segnato dall’orologio sia una pura convenzione. È vero che possiamo aspettarci che il sole sorga di nuovo ogni giorno, ma se la giornata di oggi è durata un attimo e ieri sembrava non finire mai, vuol dire che 24 ore non hanno sempre la stessa durata. Tempo e durata non sono affatto la stessa cosa. Il mio tempo e la mia vita coincideranno solo al momento della mia morte.

Immagino che siano svariate, ma se doveste richiamare alcune delle personalità, movimenti, esperienze che per voi – la vostra opera sono importanti, quali amereste ricordare?
Anna de Manincor: l’inizio di Casinò di Scorsese, il pre-finale di Cuore di tenebra di Conrad e il finale di Professione: reporter di Antonioni.
Anna Rispoli: Hotel Rooms di David Lynch e il modo di pensare alla fotografia di Jeff Wall. La nebbia in cui perdersi di Ann Veronica Janssens.
Massimo Carozzi: I documentari di Werner Herzog, la dreamhouse di La Monte Young e Marian Zazeela a New York, il suono/tempo di Morton Feldman.

Penso che il cinema sia un inesauribile serbatoio di atmosfere e di parole per voi. Quanto è importante la citazione – certo riadattata, pretesto o fonte di ispirazione, rimanipolata e resa altra rispetto al contesto originario – e non solo nella vostra opera, ma anche nel mondo contemporaneo?
Il cinema è nutrimento perché contiene sempre una visione del mondo, è una realtà seconda inventata dagli umani e parla di loro molto più che del mondo. Quando l’industria del cinematografo ha scelto la strada della fiction la sperimentazione sul dispositivo e sulla percezione dell’immagine-movimento è rimasta in sospeso. Credo che il campo in cui si muove ZimmerFrei sia proprio quello dell’ expanded cinema, che comprende pre-cinema (prototipi di audio-visione stereoscopica o illusionistica), ricerca di immagini-tempo, utilizzo di suoni-movimento, cinema installato nello spazio, film sonori spazializzati, acusmatica, narrazione attraverso storyboard fotografici e tutto quello che sarà post-cinema.
La citazione ha un confine concettuale ampio. Può significare nutrirsi, assorbire, integrare, riformulare, “inventare una nuova lingua madre” vuol dire anche questo.
A volte usiamo dichiaratamente materiali altrui come campi controllati in cui fare un esperimento: il film Lost Highways di David Lynch usato in Presente Continuo (2001) per vedere e ascoltare un film intero in un solo quadro, oppure una frase di Philip Dick per costruire una performance (Quando 2004 e 2005); il titolo stesso Never Keep Souvenirs of a Murder l’abbiamo incontrato come parte dei dialoghi di Psicosi delle 4.48 di Sarah Kane, che citava a sua volta Vertigo di Hitchcock. In quel caso è stato un incontro casuale, una sensazione di familiarità, un’adozione immediata. L’ultimo lavoro sonoro che abbiamo realizzato, Grande Estasi, è dichiaratamente una cover version solo audio del doumentario di Werner Herzog La grande estasi dell’intagliatore Steiner.

Nell’installazione video Stop kidding di Anna de Manicor/ZimmerFrei (2002) con la quale avete partecipato alla 50ma mostra d’Arte Internazionale della Biennale di Venezia 2003, delle ragazze riprese in primo piano ripetevano “non farò figli per questo paese”. È una constatazione intima alla luce di un contesto che viene respinto, ripudiato e che ha il potere di incidere negativamente sulle vite individuali. È un’affermazione forte, ma assolutamente attuale, potreste fare un breve ragionamento sul contesto socio-politico odierno?
Secondo noi la potenza di Stop Kidding è quella di spaccare la membrana protettiva tra corpo singolo e corpo sociale, di reinventare una specie di sacrificio antico, di lanciare una maledizione proletaria, nel senso più epistemologico di questa parola. Ci piace perché nella sua essenzialità è una specie di rito sciamanico per chi non vuole/può avere altra arma che il proprio corpo, e il proprio potenziale di sangue e carne. Paradossalmente alcuni dei protagonisti di quel lavoro hanno fatto figli nell’anno successivo. Anche questa contraddizione sembra speranzosa: le cose reali procedono sempre un po’ a lato degli statement assoluti, e la saggezza non sappiamo su che binario sia. Stop Kidding è più attuale che mai, visto che il panorama non è certo migliorato negli ultimi tre anni. Semmai il lavoro ha acquistato un retrogusto paradossale, visto che perfino la legge sull’aborto è in revisione. L’Italia si è ripiegata su se stessa come un edificio pericolante, ha corroso la speranza di immaginarsi diversa, nel senso di più vivibile. Questa fatica giornaliera pesa sullo slancio vitale dei suoi abitanti come un macigno.

Carmen Lorenzetti