Lisa Bentini – Exibart – marzo 2008

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Giorgio Agamben
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Aby Warburg
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Leonard Cohen

Casa di Fantasmi

Una canzone di Leonard Cohen. Figure fantasmatiche che si caricano di tempo. La performance di ZimmerFrei si struttura come una ballata. Una composizione in cui la serie strofa-bridge-ritornello è trattata nelle dimensioni di presenza nel buio, suono nella luce e immagine nel tempo…

Da diversi anni, la ricerca del gruppo bolognese ZimmerFrei si muove intorno al rapporto fra tempo e immagine. In Casa di Fantasmi, portato in scena al Teatro San Martino di Bologna il 15 e 16 febbraio 2008, quest’aspetto può addirittura considerarsi centrale. Sulla scorta dei lavori precedenti e di alcune suggestioni tratte da un testo su Aby Warburg di Giorgio Agamben, ZimmerFrei si sofferma sul potere che le immagini hanno di trattenere il tempo, intendendo quest’ultima parola nell’accezione più ampia, ovvero come tempo storico, metereologico, ritmico.
Già in Panorama, i video indugiavano su immagini apparentemente immobili, sottoponendo lo spettatore a dilatazioni temporali stranianti, per poi improvvisamente contrarsi in sequenze accelerate e deformate. Figure statiche che si caricano di tempo, colonnine che ne misurano la densità e intercettano minimi spostamenti dell’aria. “Ma come può un’immagine caricarsi di tempo?”. L’interrogativo che incalza il testo di Agamben scandisce le riflessioni teoriche che nutrono Casa di fantasmi: “Le immagini sembrano arrestarsi, esse si sono in realtà caricate di tempo fin quasi a scoppiare e proprio questa saturazione cairologica imprime loro una sorta di tremito, che costituisce la loro aura particolare”. ZimmerFrei accoglie la capacità evocativa delle parole di Agamben, cercando una traduzione sonora e visiva che possa innestarsi nel proprio lavoro.
Così la vibrazione ottenuta all’inizio dello spettacolo con frequenze molto basse (suono di Massimo Carozzi) che scuote lo spazio ancora buio della sala sembra rimandare a quella “saturazione cairologica” che rende le immagini a tal punto piene e intense da traboccare di grazia (kairos).
Pure il video, a cura di Anna De Manincor, che riprende l’interno di un casa passando in rassegna tutti gli oggetti-dettagli delle stanze, può leggersi in questa direzione: dopo uno o due minuti davanti all’inquadratura di un pentolino sul fuoco, l’immagine si carica e insieme si svuota di significato, diviene al contempo un’immagine straniera e familiare, come quando si ripete più volte di seguito la stessa parola, fino a sentirla disfarsi tra la lingua e il palato e trasformarsi in altro da sé. In questo senso si possono interpretare le “figure evanescenti” di cui parla il gruppo bolognese nella presentazione, “destinate a svanire e a divenire spettri”.
Tutte le immagini di Casa di Fantasmi, dagli interni-esterni in video fino alle figure dei performer e dei musicisti sulla scena, hanno qualcosa di spettrale, sia che si staglino nitide sia che traballino nella semioscurità. Paradossalmente sono più vicini ai fantasmi gli oggetti ripresi all’interno della casa che i corpi dei due ballerini, Anna Rispoli e Stefano Questorio, i quali appaiono e scompaiono sulla scena. La coreografia, infatti, costruita intorno a un dispositivo di apparizione e sparizione, non fa che ribadire l’equivocità dell’immagine fantasmatica, rischiando talvolta il didascalismo.
Al di là dell’efficacia dei singoli momenti, vale la pena di soffermarsi sulla scelta di contenere le immagini e i rispettivi fantasmi all’interno di una struttura: una vecchia canzone di Leonard Cohen, Is this what you wanted, che definisce lo spazio narrativo dello spettacolo e il suo perimetro sonoro. L’idea iniziale di ZimmerFrei era di lavorare sulla struttura della canzone, dilatata attraverso la ripetizione del ritornello -interpretato dalla voce sensuale e sfiatata di Francesca Amati e dalle chitarre acustiche di Stefano Pilia e Marcello Petruzzi- e del brigde, assente nell’originale, affidato alle batterie di Vittoria Burattini e Andrea Belfi; mentre le strofe, tradotte in italiano (e il cui ordine rimane invariato) vengono lette dalla voce off di Manuel Giannini.
La canzone è ricostruita e restituita al pubblico attraverso lo sguardo di Zimmerfrei con un risultato composito a livello “strutturale”. Dal punto di vista narrativo, il quadro si complica e talvolta lo spettacolo incespica, soprattutto quando l’indagine condotta sulle immagini incontra il testo di Cohen, la cui densità simbolica, se da una parte offre numerosi richiami e sviluppi narrativi, dall’altra rischia, in alcuni momenti, di innescare un rapporto parzialmente non risolto. Infatti, il titolo della performance, Casa di Fantasmi, prima ancora che possibile rimando al rapporto tra immagine e fantasma, è una citazione esplicita del ritornello che scandisce della canzone, il cui tema centrale è rappresentato da fantasmi che insorgono tra un lui e una lei.

Lisa Bentini