Riccardo Bertoia


La città è più vera se rappresentata. 

Esperienze videocinematografiche d’artista e di ricerca a Milano

Tesi di diploma, Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, anno 2018-2019

 

Ho intervistato Anna de Manincor via e-mail, nei mesi di marzo e aprile 2019.

RB: Presentati spiegando le ragioni che motivano la tua ricerca artistica e i principali slanci alla base del tuo lavoro.

ADM: Ci ho provato ma non so rispondere per iscritto. Faccio questo praticamente da quando ho iniziato a poter dire che faccio un lavoro, ed è il lavoro che volevo fare.

RB: Quali sono la genesi e lo sviluppo produttivo di Memoria Esterna?

ADM: Nel 2007 Chiara Agnello, allora curatrice di Careof, […] ci invitò per un breve periodo a Milano prima dell’allestimento di una mostra collettiva, chiedendoci di realizzare un lavoro sulla città. Noi conoscevamo Milano solo da ‘utilizzatori’, non ci abbiamo mai abitato. Così abbiamo incontrato una serie di persone che allora abitavano a Milano, in una catena di conoscenze in cui l’una ci portava alla successiva. Non ci interessavano per forza gli abitanti di Milano da generazioni e generazioni, o persone rappresentative di qualche suo aspetto, cercavamo modi di raccontare molto personali.

RB: Come mai hai deciso di adoperare il mezzo video? In quale contesto si inserisce questa scelta?

ADM: Il video è uno degli strumenti che abbiamo condiviso da sempre come gruppo. Azioni, suono, immagini, video: ZimmerFrei fa questo dall’anno 2000. Io personalmente ho studiato cinema, ma l’ho preso alla lontana e sono passata dalla performance, dalle arti visive, dalla fotografia e sono arrivata al cinema documentario. Memoria Esterna è stato il nostro proto-documentario, l’abbiamo capito dopo che quella strada sarebbe stata molto lunga. Per esplorare una città sconosciuta abbiamo voluto ascoltarla e guardarla con occhi e memorie a noi esterne. Abbiamo deciso di registrare in due momenti separati: prima le voci, poi i luoghi. Prima il suono, puoi le immagini. I volti erano la cosa meno importante.

RB: Come descriveresti le scelte visuali adoperate in Memoria Esterna? Come mai hai deciso di accompagnarle a quei suoni e a quei dialoghi?

ADM: Il rapporto è invertito: sono le voci e i racconti che ci hanno portato in alcuni luoghi, e una volta lì abbiamo dovuto decidere che immagini fare per entrare in relazione con quelle storie. Alcune erano storie recenti, altre lontane nel tempo, ma tutte inevitabilmente accadute nel passato. Come filmare nel presente e raccogliere qualcosa che si trova nel passato? È un tema costante nella pratica documentaria. La voce dell’artista coreano T-Yong Chung racconta di quando ha perso l’ultimo treno e ha dormito alla Stazione Centrale, e nella stazione vuota si è sentito come in 2001: Odissea nello Spazio. Come filmare la stazione con quest’immagine in testa? Antonio Caronia ricorda la manifestazione dell’11 marzo 1972 per la liberazione di Valpreda in corso Garibaldi. Andare oggi in corso Garibaldi e camminare da Moscova a via Palermo sentendo e immaginando quella manifestazione, gli slogan, la moltitudine, le molotov, i sacchi di bulloni, le grida che vengono da via Solferino, “Il Corriere brucia, la Reanualt l’è in fiamme!”. In via Settembrini, all’angolo con via Vitruvio, Ivan Carozzi ha visto uno che si teneva il collo e sotto al collo aveva una ferita che sanguinava. Gli avevano appena tagliato la gola. Si gira e quello che cui parlava si è già allontanato, non sa cosa fare, entra in un negozio a caso, chiede aiuto, torna fuori, il ragazzo si è accasciato in una pozza di sangue, vicino a lui c’è una ragazza, accovacciata, con stivali bianchi alti. Le parole di questo racconto sono state usate come ‘istruzioni istantanee’ per il cameraman e in quel caso Edoardo Emanuele (il direttore della fotografia con cui abbiamo realizzato il video) ha girato un piano sequenza come se fosse la soggettiva di Ivan, che poi noi abbiamo rimontato per seguire i cambi di ritmo del racconto.

Per ogni racconto abbiamo usato una strategia diversa e senza saperlo abbiamo aperto delle strade che avremmo percorso anni dopo. Ad esempio delle lunghe permanenze e osservazioni di un unico luogo: gli alberi di Porta Venezia cercando di vedere i pappagalli, il cortile della Fabbrica del Vapore trasformato in blue-back durante un set dello sceneggiato televisivo Renzo e Lucia, gli orti di via Veresine come un appuntamento del Fuori Salone, Quarto Oggiaro come il quartiere verde di Milano, una domenica mattina a metà degli anni Ottanta, con gli elicotteri della Polizia che stanno per fare una retata, un’altra alba di sabato con degli studenti che si cambiano i vestiti alla fermata dell’autobus fuori da una discoteca e vanno a scuola.

RB: Che tipo di relazione instauri con lo spazio urbano nel tuo lavoro, e in particolare in questo lavoro?

ADM: Non saprei riassumerlo, un rapporto articolato, che cambia nel tempo. Osservare le città, le porzioni di città, le persone nella città, i gesti che si fanno nei luoghi pubblici, i modi di stare da soli in mezzo a tante persone, i modi di abitare, sono cose che ci appassionano e sono un esercizio costante di concentrazione e di riflessione su di noi come organismo sociale. È molto difficile farlo nella città in cui si abita, ed è quello che stiamo provando a fare nel film che stiamo producendo ora, nell’arco di due anni a Bologna.

RB: Cosa pensi di Milano?

ADM: Non penso una cosa precisa o ricorrente. A volte la sento attaccata a via Marconi, a Bologna, dove abbiamo il nostro studio, collegata con un tunnel lungo un’ora nel quale non stacco gli occhi dal computer. A Milano ci vado quasi solo d’inverno, dal lunedì al mercoledì. Quando ci vado lavoro tutto il giorno, dunque in città è prevalentemente notte. Conosco bene solo alcuni incroci, abbastanza lontani tra di loro, ho alcuni posti in cui andare a fare una cosa specifica (mangiare ravioli cinesi, ballare il tango, guardare le rotaie, immaginare Gotham City, leggere senza acquistare, dormire tra mura amiche). Milano è una metropoli europea, una città italianissima con un carattere volubile, ti lascia essere un po’ quello che vuoi, ma è difficile dirle di no.